Q11 §18 (Cfr. Q8 §232).
Giudicare tutto il passato filosofico come un delirio e una follia non è solo un errore di antistoricismo, perché contiene la pretesa anacronistica che nel passato si dovesse pensare come oggi, ma è un vero e proprio residuo di metafisica perché suppone un pensiero dogmatico valido in tutti i tempi e in tutti i paesi, alla cui stregua si giudica tutto il passato.
L’antistoricismo metodico non è altro che metafisica. Che i sistemi filosofici passati siano stati superati non esclude che essi siano stati validi storicamente e abbiano svolto una funzione necessaria: la loro caducità è da considerare dal punto di vista dell’intero svolgimento storico e della dialettica reale; che essi fossero degni di cadere non è un giudizio morale o di igiene del pensiero, emesso da un punto di vista «obbiettivo», ma un giudizio dialettico‑storico. Si può confrontare la presentazione fatta da Engels della proposizione hegeliana che «tutto ciò che è razionale è reale e il reale è razionale», proposizione che sarà valida anche per il passato.
Nel Saggio si giudica il passato come «irrazionale» e «mostruoso» e la storia della filosofia diventa un trattato storico di teratologia, perché si parte da un punto di vista metafisico. (E invece nel Manifesto è contenuto il più alto elogio del mondo morituro).
Se questo modo di giudicare il passato è un errore teorico, è una deviazione dalla filosofia della praxis, potrà avere un qualunque significato educativo, sarà ispiratore di energie?
Non pare, perché la questione si ridurrebbe a presumere di essere qualcosa solo perché si è nati nel tempo presente, invece che in uno dei secoli passati. Ma in ogni tempo c’è stato un passato e una contemporaneità e l’essere «contemporaneo» è un titolo buono solo per le barzellette. (Si racconta l’aneddoto di un borghesuccio francese che nel suo biglietto da visita aveva fatto stampare appunto «contemporaneo»: credeva di non essere nulla e un giorno scoperse di essere qualcosa invece, proprio un «contemporaneo»).