Q4 §45, §46.
Tutta la filosofia finora esistita è nata ed è l’espressione delle contraddizioni intime della società: ma ogni sistema filosofico a sé preso non è l’espressione cosciente di queste contraddizioni, poiché questa espressione può essere data solo dall’insieme dei sistemi filosofici. Ogni filosofo è e non può non essere convinto di esprimere l’unità dello spirito umano, cioè l’unità della storia e della natura: altrimenti gli uomini non opererebbero, non creerebbero nuova storia, cioè le filosofie non potrebbero diventare «ideologie», non potrebbero nella pratica assumere la granitica compattezza fanatica delle «credenze popolari» che hanno il valore di «forze materiali».
Hegel rappresenta, nella storia del pensiero filosofico, un posto a sé, perché, nel suo sistema, in un modo o nell’altro, pur nella forma di «romanzo filosofico», si riesce a comprendere cos’è la realtà, cioè si ha, in un solo sistema e in un solo filosofo, quella coscienza delle contraddizioni che prima era data dall’insieme dei sistemi, dall’insieme dei filosofi, in lotta tra loro, in contraddizione tra loro.
In un certo senso, adunque, il materialismo storico è una riforma e uno sviluppo dello hegelismo, è la filosofia liberata da ogni elemento ideologico unilaterale e fanatico, è la coscienza piena delle contraddizioni in cui lo stesso filosofo, individualmente inteso o inteso come intero gruppo sociale, non solo comprende le contraddizioni, ma pone se stesso come elemento della contraddizione, e eleva questo elemento a principio politico e d’azione. L’«uomo in generale» viene negato e tutti i concetti «unitari» staticamente vengono dileggiati e distrutti, in quanto espressione del concetto di «uomo in generale» o di «natura umana» immanente in ogni uomo.
Ma anche il materialismo storico è espressione delle contraddizioni storiche, anzi è l’espressione perfetta, compiuta di tali contraddizioni: è una espressione della necessità, quindi, non della libertà, che non esiste e non può esistere. Ma se si dimostra che le contraddizioni spariranno, si dimostra implicitamente che sparirà anche il materialismo storico, e che dal regno della necessità si passerà al regno della libertà, cioè a un periodo in cui il «pensiero», le idee non nasceranno più sul terreno delle contraddizioni. Il filosofo attuale può affermare ciò e non andare più oltre: infatti egli non può evadere dal terreno attuale delle contraddizioni, non può affermare, più che genericamente, un mondo senza contraddizioni, senza creare immediatamente una utopia.
Ciò non significa che l’utopia non abbia un valore filosofico, poiché essa ha un valore politico, e ogni politica è implicitamente una filosofia. La religione è la più «mastodontica» utopia, cioè la più «mastodontica» metafisica apparsa nella storia, essa è il tentativo più grandioso di conciliare in forma mitologica le contraddizioni storiche: essa afferma, è vero, che l’uomo ha la stessa «natura», che esiste l’uomo in generale, creato simile a Dio e perciò fratello degli altri uomini, uguale agli altri uomini, libero fra gli altri uomini, e che tale egli si può concepire specchiandosi in Dio, «autocoscienza» dell’umanità, ma afferma anche che tutto ciò non è di questo mondo, ma di un altro (utopia). Ma intanto le idee di uguaglianza, di libertà, di fraternità fermentano in mezzo agli uomini, agli uomini che non sono uguali, né fratelli di altri uomini, né si vedono liberi fra di essi. E avviene nella storia, che ogni sommovimento generale delle moltitudini, in un modo o nell’altro, sotto forme e con ideologie determinate, pone queste rivendicazioni.
A questo punto interviene un elemento portato da Ilici [Lenin ndc]: nel programma dell’aprile 1917, nel paragrafo dove si parla della scuola unica e precisamente nella breve nota esplicativa (mi riferisco all’edizione di Ginevra del 1918) si afferma che il chimico e pedagogista Lavoisier, ghigliottinato sotto il Terrore, aveva sostenuto il concetto della scuola unica, e ciò in rapporto ai sentimenti popolari del suo tempo, che nel movimento democratico del 1789 vedevano una realtà in isviluppo e non un’ideologia e ne tiravano le conseguenze egualitarie concrete. In Lavoisier si trattava di elemento utopistico (elemento che appare, più o meno, in tutte le correnti culturali che presuppongono l’unicità di natura dell’uomo: cfr B. Croce in un capitolo di Cultura e Vita Morale dove cita una proposizione in latino di una dissertazione tedesca, affermante che la filosofia è la più democratica delle scienze perché il suo oggetto è la facoltà raziocinante, comune a tutti gli uomini – o qualcosa di simile); tuttavia Ilici lo assume come elemento dimostrativo, teorico, di un principio politico.
Filosofia ‑ Politica ‑ economia.
Se si tratta di elementi costitutivi di una stessa concezione del mondo, necessariamente ci deve essere, nei principii teorici, convertibilità da uno all’altro, traduzione reciproca nel proprio specifico linguaggio di ogni parte costitutiva: un elemento è implicito nell’altro e tutti insieme formano un circolo omogeneo (cfr la nota precedente su Giovanni Vailati e il linguaggio scientifico).
Da questa proposizione conseguono per lo storico della cultura e delle idee alcuni canoni d’indagine e di critica di grande importanza:
Avviene che una grande personalità esprima il suo pensiero più fecondo non nella sede che apparentemente sarebbe la più «logica» dal punto di vista classificatorio esterno, ma in altra parte che apparentemente sembrerebbe estranea (mi pare che il Croce abbia parecchie volte sparsamente fatta questa osservazione critica). Un uomo politico scrive di filosofia: può darsi che la sua «vera» filosofia sia invece da ricercarsi negli scritti di politica.
In ogni personalità c’è un’attività dominante e predominante: è in questa che occorre ricercare il suo pensiero, implicito il più delle volte e talvolta in contraddizione con quello espresso ex professo. È vero che in questo criterio di giudizio storico sono impliciti molti pericoli di dilettantismo e che nell’applicazione occorre andar molto cauti, ma ciò non toglie che il criterio sia fecondo di verità.
Avviene realmente che il «filosofo» occasionale più difficilmente sappia astrarre dalle correnti dominanti del suo tempo, dalle interpretazioni divenute dogmatiche di una certa concezione del mondo ecc.; mentre invece come scienziato della politica si sente libero da questi idola del tempo, affronta più immediatamente la stessa concezione del mondo, vi penetra nell’intimo e la sviluppa originalmente.
A questo proposito è ancora utile e fecondo il pensiero espresso dalla Rosa [Luxemburg] sulla impossibilità di affrontare certe quistioni del materialismo storico in quanto esse non sono ancora divenute attuali per il corso della storia generale o di un dato raggruppamento sociale.