Domenico Losurdo

Il pensiero primitivo e Stalin come capro espiatorio (2011)

25 minuti | English Français Italiano

Stalin, il gulag e il socialismo. Una critica di Jean-Jacques Marie e una risposta. [1]


Non si potrà mai apprezzare a sufficienza la saggezza del motto attribuito a Georges Clemenceau: la guerra è una cosa troppo seria per affidarla ai generali! Pur nel suo acceso sciovinismo e anticomunismo, il primo ministro francese conservava una coscienza assai lucida sul fatto che gli specialisti (in questo caso gli specialisti della guerra) sono spesso capaci di vedere gli alberi ma non la foresta, si lasciano sopraffare dai dettagli perdendo di vista l’intero; in questo senso, essi sanno tutto tranne ciò che è essenziale. Al detto di Clemenceau si è subito portati a pensare allorché si legge la stroncatura che Jean-Jacques Marie vorrebbe riservare al mio libro su Stalin. A quanto pare, l’autore è uno dei massimi esperti di «trotskismo-logia», e ci tiene a dimostrarlo in ogni circostanza.

Indice

1. Stalin liquidato dal Rapporto segreto, il Rapporto segreto liquidato dagli storici

Comicia subito a contestare la mia affermazione secondo cui Kruscev «si propone di liquidare Stalin sotto ogni aspetto». Eppure, è il grande intellettuale trotskista Isaac Deutscher a sottolineare che il Rapporto segreto dipinge Stalin come un «enorme, cupo, capriccioso, degenerato mostro umano». E, tuttavia, questo ritratto non è sufficientemente mostruoso agli occhi di Marie! Il mio libro così prosegue: nella requisitoria pronunciata da Kruscev, «ad essere responsabile di crimini orrendi era un individuo spregevole sia sul piano morale che su quello intellettuale. Oltre che spietato, il dittatore era anche risibile». Basti pensare a un particolare su cui si sofferma Kruscev: «Bisogna tener presente che Stalin preparava i suoi piani su di un mappamondo. Sì, compagni, egli segnava la linea del fronte sul mappamondo». [2] Il quadro qui tracciato di Stalin è chiaramente caricaturale: come ha fatto a sconfiggere Hitler l’Urss che era diretta da un leader criminale e imbecille al tempo stesso? E come è riuscito questo leader criminale e imbecille al tempo stesso a dirigere dal «mappamondo» una battaglia epica come quella di Stalingrado, combattuta un quartiere dopo l’altra, una strada dopo l’altra, un piano dopo l’altro, una porta dopo l’altra? Invece di rispondere a queste obiezioni, Marie si preoccupa di dimostrare che, in quanto massimo esperto di «trotskismo-logia», egli conosce a memoria anche il Rapporto Kruscev e si mette a citarlo in lungo e in largo, per aspetti che non c’entrano nulla col problema in discussione!

A dimostrazione del fatto che questa liquidazione totale di Stalin (sul piano intellettuale oltre che morale) non resiste all’indagine storica, io richiamo l’attenzione su due punti: storici eminenti (nessuno dei quali può essere sospettato di essere filo-stalinista) parlano di Stalin come del «più grande leader militare del ventesimo secolo». E vanno ancora oltre: gli attribuiscono un «talento politico eccezionale» e lo considerano un politico «enormemente dotato» che salva la nazione russa dalla decimazione e schiavizzazione cui è destinata dal Terzo Reich, grazie non solo alla sua accorta strategia militare ma anche a discorsi di guerra «magistrali», talvolta veri e propri «pezzi di bravura» che in momenti tragici e decisivi riescono a stimolare la resistenza nazionale. E non è ancora tutto: storici ferventemente antistalinisti riconoscono la «perspicacia» con cui egli tratta la questione nazionale nello scritto del 1913 e l’«effetto positivo» del suo «contributo» sulla linguistica. [3]

In secondo luogo io faccio notare che già nel 1966 Deutscher esprimeva forti dubbi sull’attendibilità del Rapporto segreto: «Non me la sento di accettare senza riserve le cosiddette “rivelazioni” di Kruscev, in particolare la sua affermazione che nella seconda guerra mondiale [e nella vittoria sul Terzo Reich] Stalin ebbe soltanto una parte praticamente insignificante». [4] Oggi, alla luce del nuovo materiale a disposizione, non sono pochi gli studiosi i quali accusano Kruscev di aver fatto ricorso alla menzogna. E dunque: se Kruscev procede alla liquidazione totale di Stalin, la storiografia più recente liquida la credibilità del cosiddetto Rapporto segreto.

In che modo Marie risponde a tutto ciò? Sintetizza il punto di vista non solo mio ma degli autori da me citati (compreso il trotskista Deutscher) con la formula: «Vade retro Kruscev!». E cioè, il grande esperto di «trotskismo-logia» crede di esorcizzare le difficoltà insuperabili in cui si imbatte pronunciando due parole di latino (ecclesiastico)!

Vediamo un secondo esempio. Agli inizi del secondo capitolo («I bolscevichi dal conflitto ideologico alla guerra civile»), io analizzo lo scontro che si sviluppa in occasione della pace di Brest-Litowsk. Bukharin denuncia la «degenerazione contadina del nostro partito e del potere sovietico»; altri bolscevichi si dimettono dal partito; altri ancora dichiarano ormai privo di valore lo stesso potere sovietico. Sul versante opposto Lenin esprime la sua indignazione per queste «parole strane e mostruose». Già nei suoi primi mesi di vita, la Russia sovietica vede svilupparsi un conflitto ideologico che è di un’estrema asprezza ed è sul punto di trasformarsi in guerra civile. E tanto più facilmente si trasformerà in guerra civile — osservo nel mio libro — una volta che, con la morte di Lenin, «viene a mancare un’autorità indiscussa». Anzi — aggiungo — secondo un illustre storico borghese (Conquest) già in quella occasione Bucharin avrebbe accarezzato l’idea di un colpo di Stato. [5] Come risponde Marie a tutto ciò? Di nuovo egli esibisce tutta la sua erudizione di grande e forse massimo esperto di «trotskismo-logia», ma non fa nessuno sforzo per rispondere alle domande che si impongono: se lo scontro mortale che successivamente lacera il gruppo dirigente bolscevico è colpa solo di Stalin (il pensiero primitivo non può fare a meno del capro espiatorio), come spiegare il duro scambio di accuse che vede Lenin condannare in quanto «mostruose» le frasi pronunciate dai fustigatori della «degenerazione» del partito comunista e del potere sovietico? E come spiegare il fatto che Robert Conquest, il quale ha dedicato tutta la sua esistenza a dimostrare l’infamia di Stalin e dei processi di Mosca, parla di un progetto di colpo di Stato contro Lenin coltivato o accarezzato da Bucharin?

Non sapendo cosa rispondere, Marie mi accusa di manipolazione e scrive persino che, nel riferire dell’idea di colpo di Stato accarezzata da Bucharin, io rinvio solo a me stesso. Non ho tempo da perdere con gli insulti. Mi limito a far notare che a p. 71, nota 137 io rinvio a uno storico (Conquest) che non è inferiore a Marie né per erudizione né per zelo antistalinista.

2. In che modo i trotskisti alla Marie insultano Trotski

Con la morte di Lenin e il consolidamento del potere di Stalin, il conflitto ideologico diventa sempre più una guerra civile: la dialettica di Saturno, che in un modo o nell’altro si manifesta in tutte le grandi rivoluzioni, disgraziatamente non risparmia neppure i bolscevichi. Sviluppo questa tesi nella seconda parte del secondo capitolo, citando una serie di personalità tra loro assai diverse (che rivelano l’esistenza di un apparato clandestino e militare messo in piedi dall’opposizione) e citando soprattutto Trotski. Sì, è Trotski in persona a dichiarare che la lotta contro «l’oligarchia burocratica» staliniana «non comporta soluzione pacifica». E’ sempre lui a proclamare che «il paese si avvia manifestamente verso una rivoluzione», verso una guerra civile e che, «nell’ambito di una guerra civile, l’assassinio di taluni oppressori non appartiene più al terrorismo individuale», ma è parte integrante della «lotta mortale» tra gli opposti schieramenti. [6] Come si vede, almeno in questo caso è Trotski stesso a mettere in crisi la mitologia del capro espiatorio.

Si comprende l’imbarazzo tutto particolare di Marie. E allora? Conosciamo già lo sfoggio di erudizione come cortina fumogena. Andiamo alla sostanza. Fra le numerose e più diverse personalità da me citate Marie ne sceglie due: una (Malaparte) la considera incompetente, l’altra (Feuchtwanger) la bolla quale agente prezzolato al servizio del criminale e imbecille che siede al Cremlino. E così il gioco è fatto: la guerra civile è scomparsa e di nuovo il primitivismo del capro espiatorio può celebrare i suoi trionfi. Ma, rifiutarsi di prendere in considerazione gli argomenti addotti da un grande intellettuale qual è Feuchtwanger, per limitarsi a bollarlo quale agente prezzolato al servizio del nemico: non è questo il modo di procedere generalmente considerato «stalinista»? E soprattutto: che dobbiamo pensare della testimonianza di Trotski, che parla di «guerra civile» e di «lotta mortale»? Non è un paradosso che il grande specialista e il sommo sacerdote della «trotskismo-logia» costringa al silenzio la divinità da lui venerata? Sì, ma non è l’unico paradosso e non è neppure il più clamoroso. Vediamo: Trostki non solo paragona Stalin a Nicola II, [7] ma va oltre: al Cremlino siede un «provocateur au service de Hitler» ovvero «le majordome de Hitler». [8] E Trotski, che si vantava di avere molti seguaci in Unione Sovietica e che anzi, secondo Broué (biografo e agiografo di Trotski), era riuscito a infiltare i suoi «fidèles» persino all’interno della GPU, Trotski non avrebbe fatto nulla per rovesciare il potere controrivoluzionario del nuovo zar ovvero del servo del Terzo Reich? Marie finisce col dipingere Trotski come un semplice chiacchierone che si limita a sparate verbali in osteria oppure come un rivoluzionario privo di coerenza e persino pavido e vile. Il paradosso più clamoroso è che io sono di fatto costretto a difendere Trostki contro certi suoi apologeti!

Dico «certi suoi apologeti», per il fatto che non tutti sono così sprovveduti come Marie. A proposito dell’impietosa «guerra civile» che si sviluppa tra i bolscevichi, il mio libro osserva:

«Siamo in presenza di una categoria che costituisce il filo conduttore della ricerca di uno storico russo (Rogowin) di sicura e dichiarata fede trotskista, autore di un’opera monumentale in più volumi, dedicata per l’appunto alla ricostruzione minuta di questa guerra civile. Vi si parla, a proposito della Russia sovietica, di «guerra civile preventiva» scatenata da Stalin contro coloro che si organizzano per rovesciarlo. Anche al di fuori dell’Urss, questa guerra civile si manifesta e a tratti divampa nell’ambito del fronte che combatte contro Franco; e, infatti, in riferimento alla Spagna del 1936-39, si parla non di una ma di «due guerre civili». Con grande onestà intellettuale e facendo tesoro del nuovo, ricco materiale documentario disponibile grazie all’apertura degli archivi russi, l’autore qui citato giunge alla conclusione: “I processi di Mosca non furono un crimine immotivato e a sangue freddo bensì la reazione di Stalin nel corso di un’acuta lotta politica”.

Polemizzando contro Aleksandr Solgenitsin, che dipinge le vittime delle purghe come un insieme di “conigli”, lo storico trotskista russo riporta un volantino che negli anni ‘30 chiamava a spazzar via dal Cremlino “il dittatore fascista e la sua cricca”. Poi commenta: “Persino dal punto di vista della legislazione russa oggi in vigore, questo volantino dev’essere giudicato come un appello al rovesciamento violento del potere (più esattamente dello strato superiore dominante)”. In conclusione, ben lungi dall’essere espressione di «un accesso di violenza irrazionale e insensata», il sanguinario terrore scatenato da Stalin è in realtà l’unico modo in cui egli riesce a piegare la “resistenza delle vere forze comuniste”». [9]

Così si esprime lo storico trotskista russo. Sennonché Marie, pur di non rinunciare al suo primitivismo e alla ricerca del capro espiatorio (Stalin) sul quale far convergere tutti i peccati del Terrore e dell’Unione Sovietica nel suo complesso, preferisce seguire le orme di Solgenitsin e rappresentare Trotski come un «coniglio».

3. Tradimento o contraddizione oggettiva? La lezione di Hegel

Nell’ambito del quadro da me tracciato, restano fermi i meriti di Stalin: egli ha compreso una serie di punti essenziali: la nuova fase storica che si apriva col fallimento della rivoluzione in Occidente; il pericolo di colonizzazione schiavistica che incombeva sulla Russia sovietica; l’urgenza del recupero del ritardo rispetto all’Occidente; la necessità dell’acquisizione della scienza e della tecnologia più avanzate e la consapevolezza che la lotta per tale acquisizione può essere in determinate circostanze un aspetto essenziale e persino decisivo della lotta di classe; la necessità di collegare patriottismo e internazionalismo e la comprensione del fatto che una vittoriosa lotta di resistenza e di liberazione nazionale (qual è stata la Grande guerra patriottica) costitusice al tempo stesso un contributo di primissimo piano alla causa internazionalista della lotta contro l’imperialismo e il capitalismo. Stalingrado ha gettato le premesse per la crisi del sistema coloniale su scala planetaria. Il mondo di oggi è caratterizzato dalle crescenti difficoltà dello stesso neo-colonialismo, dall’emergere di paesi quali Cina e India e più in generale delle civiltà a suo tempo assoggettate o annientate dall’Occidente, dalla crisi della dottrina Monroe e dallo sforzo di certi paesi latino-americani di collegare lotta contro l’imperialismo e costruzione di una società post-capitalistica. Ebbene, questo mondo non è pensabile senza Stalingrado.

E, tuttavia, una volta detto questo, è possible comprendere la tragedia di Trotski. Dopo aver riconoscuto il grande ruolo da lui svolto nel corso della rivoluzione d’ottobre, il mio libro così descrive il conflitto che si vene a determinare con la morte di Lenin:

«Nella misura in cui un potere carismatico era ancora possibile, esso tendeva a prender corpo nella figura di Trotskij, il geniale organizzatore dell’Armata rossa e il brillante oratore e prosatore che pretendeva di incarnare le speranze di trionfo della rivoluzione mondiale e che da ciò faceva discendere la legittimità della sua aspirazione a governare il partito e lo Stato. Stalin era invece l’incarnazione del potere legale-tradizionale, che cercava faticosamente di prender forma: al contrario di Trotskij, giunto tardi al bolscevismo, egli rappresentava la continuità storica del partito protagonista della rivoluzione e quindi detentore della nuova legalità; per di più, affermando la realizzabilità del socialismo anche in un solo (grande) paese, Stalin conferiva una nuova dignità e identità alla nazione russa, che così superava la crisi spaventosa, ideale oltre che materiale, subita a partire dalla disfatta e dal caos della prima guerra mondiale, e ritrovava la sua continuità storica. Ma proprio per questo gli avversari gridavano al «tradimento», mentre traditori agli occhi di Stalin e dei suoi seguaci apparivano quanti col loro avventurismo, facilitando l’intervento delle potenze straniere, mettevano in pericolo in ultima analisi la sopravvivenza della nazione russa, che era al tempo stesso il reparto d’avanguardia della causa rivoluzionaria. Lo scontro tra Stalin e Trotskij è il conflitto non solo tra due programmi politici ma anche tra due principi di legittimazione». [10]

A un certo punto, dinanzi alla radicale novità del quadro nazionale e internazionale, Trotski si convince (a torto) che a Mosca c’è stata una controrivoluzione e agisce di conseguenza. Nel quadro tracciato da Marie, invece, Trotski e i suoi seguaci, nonostante siano riusciti a infiltrarsi nella GPU e in altri settori vitali dell’apparato statale, si lasciano sconfiggere e massacrare, senza combattere, dal controrivoluzionario criminale e idiota che si è installato al Cremlino. Non c’è dubbio, è questa lettura a ridicolizzare in particolare Trotski, rimpicciolendo e a rendendo meschini e irriconoscibili tutti i protagonisti della grande tragedia storica che si è sviluppata sull’onda della rivoluzione russa (come di ogni grande rivoluzione).

Al fine di comprendere en modo adeguato tale tragedia, occorre far leva sulla categoria di contraddizione oggettiva cara a Hegel (e a Marx). Disgrziatamente invece — osserva il mio libro — Stalin che Trotski condividono la medesima povertà filosofica, non riescono ad andare al di là dello scambio reciproco dell’acusa di tradimento:

«Da una parte e dall’altra, piuttosto che impegnarsi nell’analisi faticosa delle contraddizioni oggettive e delle contrapposte opzioni e dei conflitti politici che su tale base si sviluppano, si preferisce far ricorso sbrigativamente alla categoria di tradimento e, nella sua configurazione estrema, il traditore diventa l’agente cosciente e prezzolato del nemico. Trotskij non si stanca di denunciare «il complotto della burocrazia staliniana contro la classe operaia», e il complotto è tanto più spregevole per il fatto che la “burocrazia staliniana” non è null’altro che “un apparato di trasmissione dell’imperialismo”. E’ appena il caso di dire che Trotskij viene ripagato generosamente della stessa moneta. Egli si lamenta di essere bollato quale “agente di una potenza straniera” ma bolla a sua volta Stalin quale “agente provocatore al servizio di Hitler”». [11]

Meno che mai disposto a problematizzare la categoria di «tradimento» è Marie, che infatti ironizza sul mio frequente rinvio a Hegel. Nel dibattito ora in corso chi è dunque lo «stalinista»?

4. La comparatistica quale trumento di lotta contro le falsificazioni dell’ideologia dominante

Fin qui abbiamo visto nel grande esperto di «trotskismo-logia» uno sfoggio di erudizione fine a se stessa oppure utilizzata come cortina fumogena. E, tuttavia, a Marie occorre riconoscere un ragionamento, o meglio un tentativo di ragionamento. Allorché io metto a confronto i crimini di Stalin o a lui attribuiti con quelli perpetrati dall’Occidente liberale e dai suoi alleati, Marie obietta: «Donc dans la patrie triomphante du socialisme (car pour Losurdo le socialisme s’est épanoui en URSS) et qui a réalisé l’unité des peuples il est normal que l’on utilise les mêmes procédés que les chefs des pays capitalistes ou un oscurantiste féodal et même que le Tsar Nicolas II». Esaminiamo questa obiezione. Lasciamo pure da parte le imprecisioni, le forzature o i veri e propri fraintendimenti. Da nessuna parte parlo dell’Urss o di un altro paese come «la patrie triomphante du socialisme»; nei miei libri ho scritto, al contrario, che il socialismo è un «processo di apprendimento» difficile e tutt’altro che concluso. Ma concentriamoci sull’essenziale. A partire dalla rivoluzione d’ottobre sino ai giorni nostri costante è la tendenza dell’deologia dominante a demonizzare tutto quello che ha un qualche rapporto con la storia del comunismo. Come ho fatto notare nel mio libro, per qualche tempo è Trotski ad essere bollato (ad esempio da Goebbels) come colui che «forse sulla sua coscienza ha il numero di crimini più alto che mai abbia pesato su un uomo»; [12] successivamente questo inglorioso primato è stato attribuito a Stalin e oggi viene attribuito a Mao Zedong; ad essere criminalizzati sono altresì Tito, Ho Chi Minh, Castro ecc. Dobbiamo subire questa «demonizzazione» che, come sostengo nell’ultimo capitolo del mio libro, è solo l’altra faccia dell’ «agiografia» del capitalismo e dell’imperialismo?

Vediamo in che modo a questa manipolazione manichea reagisce Marx. Allorché la borghesia del suo tempo, prendendo spunto dall’uccisione degli ostaggi e dall’incendio appiccato dai Comunardi, denuncia la Comune di Parigi quale sinonimo di infame babarie, Marx risponde che le pratiche della presa (e dell’eventuale uccisione) degli ostaggi e dell’appiccamento degli incendi erano state inventate dalle classi dominanti e che comunque, per quanto riguarda gli incendi, occorreva distinguere tra «vandalismo di una difesa disperata» (quello dei comunardi) «vandalismo del trionfo».

Marie mi fa troppo onore allorché polemizza su questo punto con me: farebbe bene a prendersela direttamente con Marx. Oppure, se la potrebbe prendere con Trotski, che procede anche lui nel modo a me rimproverato: nel libricino «La loro morale e la nostra» Trotski si richiama al Marx da me già citato e, per confutare l’accusa secondo cui i bolscevichi e solo loro si ispirano al principio secondo cui «il fine giustifica i mezzi» (violenti e brutali), chiama in causa il comportamento non solo della borghesia dell’Otto e del Novecento, ma già … di Lutero, protagonista della guerra di sterminio contro Müntzer e i contadini.

Sennonché, preso com’è dal culto dell’erudizione, Marie non riflette neppure sui testi degli autori a lui più cari. E infatti ironizza su di me, dando al suo intervento il titolo: «Le socialisme du Goulag!». Naturalmente, con questa stessa ironia ci si potrebbe far beffe della Russia sovietica di Lenin (e di Trotski): «Il socialismo (o la rivoluzione socialista) della Ceka» ovvero «Il socialismo (o la rivoluzione socialista) della presa degli ostaggi» (si tenga presente che, nella «Loro morale e la nostra», Trotski è costretto a difendersi anche dall’accusa di aver fatto ricorso a questa pratica). In realtà, con l’ironia cara a Marie si può liquidare qualsiasi rivoluzione. Abbiamo allora: «La Comune degli ostaggi fucilati», «La libertà e l’eguaglianza della ghigliottina», ecc. ecc. D’altro canto, non si tratta di esempi immaginari: è così che la tradizione di pensiero reazionaria ha liquidato la rivoluzione francese (e soprattutto il giacobinismo), la Comune di Parigi, la rivoluzione russa ecc.

Marx ha sintetizzato la metodologia del materialismo storico nell’affermazione secondo cui «gli uomini fanno la loro storia da sé, ma non in circostanze scelte da loro». Invece di prendere le mosse da queste lezioni per indagare gli errori, i dilemmi morali, i crimini dei protagonisti di ogni grande crisi storica, Marie formula questa semplice alternativa: o i movimenti rivoluzionari sono sovranamente superiori e anzi miracolosamente trascendenti rispetto al mondo storico, e alle contraddizioni e ai conflitti del mondo storico, nel cui ambito essi si sviluppano; oppure quei movimenti rivoluzionari sono un completo fallimento e un inganno totale. E così la storia delle rivoluzioni nel suo complesso si configura come la storia di un unico, ininterrotto e miserevole fallimento e inganno. E ancora una volta Marie si colloca nel solco della tradizione di pensiero reazionaria.

5. Il socialismo come processo di apprendimento faticoso e incompiuto

Ho detto che la costruzione del socialismo è un processo di apprendimento faticoso e incompiuto. Ma proprio per questo, occorre impegnarsi a formulare delle risposte: il socialismo e il comunismo comportano il totale dileguare delle identità e persino delle lingue nazionali, oppure ha ragione Castro secondo cui i comunisti hanno avuto il torto di sottovalutare il peso che la questione nazionale continua ad esercitare anche dopo la rivoluzione antimperialista e anticapitalista? Nella società del futuro prevedibile non ci sarà più posto per nessun tipo di mercato e neppure per il denaro, oppure dobbiamo far tesoro della lezione di Gramsci, secondo cui occorre tener presente il carattere «determinato» del «mercato»? In relazione al comunismo Marx parla talvolta di «estinzione dello Stato», talaltra di «estinzione dello Stato nell’attuale senso politico»: sono due formule tra loro sensibilmente diverse; a quale delle due ci si può ispirare? Sono questi problemi a provocare tra i bolscevichi prima un aspro conflitto ideologico e poi la guerra civile; e a questi problemi occorre rispondere, se si vuole ridare credibilità al progetto rivoluzionario comunista, evitando le tragedie del passato. E con questo spirito che io ho scritto prima «Fuga dalla storia? La rivoluzione russa e la rivoluzione cinese oggi» e poi «Stalin. Storia e critica di una leggenda nera». Senza affrontare tali problemi, non si potrà né comprendere il passato né progettare il futuro. Senza affrontare tali problemi, imparare a memoria anche i dettagli minimi della biografia (o dell’agiografia) di questo o quel protagonista dell’ottobre 1917 servirà soltanto a riconfermare la profondità del detto caro a Clemenceau: come la guerra è una cosa troppo seria per affidarla ai generali e agli specialisti della guerra, così la storia della stessa tragedia di Trostki (per non parlare della storia grande e tragica del movimento comunista nel suo complesso) è una cosa troppo seria per affidarla agli specialisti e ai generali della trotskismo-logia.


[1] Jean-Jacques Marie, “Le socialisme du Goulag !” (16 March 2011), La Quinzaine littéraire. [web] 

[2] pp. 27-29 dell’ed. francese. 

[3] p. 409. 

[4] p. 407. 

[5] p. 71. 

[6] p. 104. 

[7] p. 104. 

[8] pp. 126 e 401. 

[9] pp. 117-8. 

[10] p. 150. 

[11] p. 126. 

[12] p. 343.